Il 1° febbraio di tre anni fa pubblicavo il primo post su questo mio blog.
Con molte difficoltà per una come me che detestava (e detesta tuttora) la tecnologia, i computer e i cellulari che fanno oramai di tutto, tanto da farmi decidere di tenere ben caro il mio vecchio Nokia ancora con i tasti e senza internet con il risultato di vivere in costante ansia al pensiero di una sua imminente dipartita e l'impossibilità di trovare ancora in vendita un tale pezzo di telefonia d'antiquariato...
Come dicevo, aprire questo blog è stato per me un enorme sforzo in quanto il "dietro le quinte" è abbastanza complesso da gestire e bisogna avere un minimo di conoscenza di HTML, HTTP, URL, FEED e quant'altro, cosa che io non avevo. L'unica mia esperienza di web era la mia paginetta su Facebook.
Ma dato che sono abbastanza brava ad apprendere, quando ho l'entusiasmo, nel giro di poco tempo ho cominciato ad arrangiarmi senza dover interpellare tizio e caio per ogni piccolo imprevisto che mi si presentava, pur rimanendo sempre una principiante e guardando con tanta ammirazione i bei blog di "colleghe" più esperte.
Tuttavia pur se apprendista blogger, esattamente tre anni fa come oggi, c'è stata una prestigiosa Azienda che ha creduto in me e forse ha saputo vedere lontano tanto da affidarmi i suoi prodotti, che rappresentano l'eccellenza nel mondo, per creare delle ricette. E' stata la mia prima collaborazione e, si sa, non è mai facile essere i primi.
Eppure Daniele, Erika e Gilberto, titolari dell'Acetaia del Cristo - produttori di Aceto balsamico tradizionale di Modena D.O.P. dal 1849 - hanno osato e di questo ne sarò sempre grata perché oltre ad avermi fatto scoprire dei prodotti unici, a me prima sconosciuti, ho avuto modo di scoprire delle persone care dalla tipica cordialità emiliana. Grazie!
Con molte difficoltà per una come me che detestava (e detesta tuttora) la tecnologia, i computer e i cellulari che fanno oramai di tutto, tanto da farmi decidere di tenere ben caro il mio vecchio Nokia ancora con i tasti e senza internet con il risultato di vivere in costante ansia al pensiero di una sua imminente dipartita e l'impossibilità di trovare ancora in vendita un tale pezzo di telefonia d'antiquariato...
Come dicevo, aprire questo blog è stato per me un enorme sforzo in quanto il "dietro le quinte" è abbastanza complesso da gestire e bisogna avere un minimo di conoscenza di HTML, HTTP, URL, FEED e quant'altro, cosa che io non avevo. L'unica mia esperienza di web era la mia paginetta su Facebook.
Ma dato che sono abbastanza brava ad apprendere, quando ho l'entusiasmo, nel giro di poco tempo ho cominciato ad arrangiarmi senza dover interpellare tizio e caio per ogni piccolo imprevisto che mi si presentava, pur rimanendo sempre una principiante e guardando con tanta ammirazione i bei blog di "colleghe" più esperte.
Tuttavia pur se apprendista blogger, esattamente tre anni fa come oggi, c'è stata una prestigiosa Azienda che ha creduto in me e forse ha saputo vedere lontano tanto da affidarmi i suoi prodotti, che rappresentano l'eccellenza nel mondo, per creare delle ricette. E' stata la mia prima collaborazione e, si sa, non è mai facile essere i primi.
Eppure Daniele, Erika e Gilberto, titolari dell'Acetaia del Cristo - produttori di Aceto balsamico tradizionale di Modena D.O.P. dal 1849 - hanno osato e di questo ne sarò sempre grata perché oltre ad avermi fatto scoprire dei prodotti unici, a me prima sconosciuti, ho avuto modo di scoprire delle persone care dalla tipica cordialità emiliana. Grazie!
Per l'occasione ho preparato queste delicatissime ma gustose foglie di indivia belga arricchite con pere, noci, aceto balsamico tradizionale e raspadüra.
Molti di voi si chiederanno cos'è questa raspadüra... non è altro che un modo di servire il formaggio grana presentandolo come sottilissime sfoglie raschiate con un particolare coltello da una forma di Tipico Lodigiano oppure di Grana Padano giovane, stagionato dai quattro ai sei mesi.
La raspadüra è tipica della gastronomia lodigiana ma è diffusa anche nei territori limitrofi delle province di Pavia e Cremona, dove conserva lo stesso nome.
La raspadüra è tipica della gastronomia lodigiana ma è diffusa anche nei territori limitrofi delle province di Pavia e Cremona, dove conserva lo stesso nome.
La raspadüra viene solitamente servita come antipasto spesso accompagnata da salumi, noci o funghi, ma può anche essere utilizzata per guarnire primi piatti come il risotto o la polenta.
Se volete scoprire qualche curiosità in più, le trovate a fine pagina.
Per circa 8 barchette:
- 2 cespi di indivia belga di grosse dimensioni
- scaglie sottili di grana o raspadüra
- 2 pere
- gherigli di 8/10 noci
- sale e pepe
- aceto balsamico tradizionale
Eliminare i torsoli con una parte di bianco dai cespi di indivia quindi prendere solo le foglie esterne più belle e più grosse, risciacquarle delicatamente e asciugarle tamponandole con carta assorbente.
Con l'aiuto della mandolina ottenere delle scaglie sottili di grana (meglio ancora se riuscite a trovare la raspadüra nei negozi).
Rompere le noci e spezzettare con le mani i gherigli.
Sbucciare le pere e sempre con la mandolina ottenere circa 40 fettine.
A questo punto su un piatto da portata posizionare le foglie di indivia e rivestirle internamente ognuna con cinque fettine di pera, le scaglie sottili di grana (o raspadüra), i gherigli di noci, salare leggermente, pepare e irrorare con aceto balsamico tradizionale.
Per questo abbinamento ho utilizzato un Extra vecchio al Ginepro, un prestigioso Aceto maturato in botticelle prevalentemente di legno di Ginepro per almeno 25 anni.
Maestri nella produzione di questi A.B.T.M. D.O.P., frutto di antichi procedimenti maturati e tramandati di generazione in generazione, sono i titolari dell'Acetaia del Cristo in Modena che ringrazio per avermi dato modo di conoscere un prodotto unico al mondo.
ORIGINI E CURIOSITA' SULLA RASPADÜRA
Raspadüra è un termine della lingua lombarda occidentale che in italiano significa raschiatura.
Le sottili sfoglie di raspadüra sono, infatti, raschiate progressivamente dalla superficie della mezza forma con l'aiuto talvolta di un tornio manuale che fa girare su sé stesso il formaggio e di un particolare coltello flessibile, piatto e ricurvo, che nei mesi più freddi può essere anche scaldato in modo da ottenere nastri soffici di grana che si arricciano su loro stessi.
La raspadüra nacque come cibo povero e in passato era ricavata da forme di Granone Lodigiano imperfette, mentre oggi sono impiegate forme sane di stagionatura adatta per essere tagliate senza sfaldarsi.
Ai tempi le forme di Granone Lodigiano prodotte nelle casere delle cascine, entro il sesto mese venivano verificate per guasti di stagionatura. Potevano presentare dei difetti di compattezza, crepe o bolle interne, che si sentono martellando le forme, allora il casaro scartava le forme difettose che venivano tagliate a metà e talvolta donate ai contadini della cascina, ma più comunemente portate a Lodi per essere vendute come raspadüra.
Dunque la raspadüra fu dapprima un sottoprodotto della lavorazione del grana, a basso costo per i poveri che non potevano permettersi il formaggio stagionato da grattugia, mentre ora è una pietanza ricercata anche da golosi gourmet.
In molti paesi del Lodigiano in occasione dei giorni di mercato è possibile assistere ancora oggi alla raspada, ossia la raschiatura delle forme giovani di formaggio grana che viene fatta sul momento a richiesta del cliente.
Semplicemente gustose con prodotti di eccellenza.
RispondiEliminaGrazie Francesca! Un abbraccio, Lorena
Eliminawow..le farò senz'altro..ciao Anna
RispondiEliminaCiao Anna, fammi poi sapere come ti sono venute e se ti sono piaciute.
EliminaBuona domenica, Lorena